sabato 19 novembre 2011

Bulldog in gorgiera.

Il sole iniziava a prendere il colorito del tardo pomeriggio, quando le auto si ritrovarono davanti alla vecchia casa. La polvere si alzò un attimo dopo, agitata dalle ruote calde, mentre uno ad uno i ragazzi uscirono dalle automobili scure. Ognuno di noi si mise d’accordo per il breve viaggio che avremmo affrontato di lì a poco. Io scelsi di andare con Steve per simpatia ma subito me ne pentii. Il suo mezzo di trasporto infatti era un vecchio Ape ammaccato, color grigio piombo. Lui entrò disinvolto, nonostante i quasi due metri d’altezza, e si mise al posto di guida. Il rumore della craniata sul montante dell’Ape fece rigirare e poi scoppiare a ridere tutti i presenti. 
“Non è niente” disse Steve, sorridendomi “le prime volte succede sempre, poi ci si fa l’abitudine”. 
Con una mano premuta sulla fronte dolorante, mi piegai fino a riuscire ad entrare nel trabiccolo a tre ruote, per poi sedermi accanto all'amico.
La automobili partirono tutte sgommando e questa volta la nuvola di polvere si alzò fino a far scomparire il sole. 
Steve diede gas, l’Ape accennò un’impennata e partì. Dopo qualche chilometro ci ritrovammo a percorrere una strada alberata che costeggiava un torrente. La strada iniziò a salire e il torrente quasi scomparve dalla nostra vista, salvo tornare a far capolino di tanto in tanto. Anche se gli altri ci avevano superato da un pezzo, l’Ape correva più di quanto pensassi ed anzi, ad un certo punto, complice la vicinanza, a tratti eccessiva, al dirupo che delimitava la strada, la sua velocità fece scoppiare in me un violento attacco di panico. Iniziai ad urlare a Steve di rallentare, anzi forse arrivai ad implorarlo di fermarsi! Vedevo il torrente in fondo alla scarpata avvicinarsi ad ogni curva, gli alberi farsi minacciosi contro la sottile lamiera del triciclo a motore. Steve scoppiò a ridere, facendosi beffe della mia paura: “Tranquillo, ancora un paio di curve e siamo arrivati.”
Ragione, aveva ragione… ma per completare in bellezza e farmi rizzare tutti i capelli in testa, Steve fermò l’Ape con una derapata così repentina che per poco non lo fece capottare.
Eravamo arrivati all'Anfiteatro. Così avevamo chiamato quel posto fin da quando ci venivamo da piccoli. Era un piccolo lago artificiale a forma di mandorla, con un’estremità leggermente allungata e più stretta dell’altra. Per due terzi del perimetro era circondato da colline che scendevano quasi a strapiombo, fino a lambire le acque. Le ripide pareti erano state colonizzate, probabilmente nel secolo scorso, ed erano ora ricoperte da casupole di pietra, come a formare un presepe. Il nostro lato era invece pianeggiante e da qui lo specchio d’acqua rifletteva la luce del sole dando al presepe un colorito giallognolo.
Sulla riva del lago, sedute a chiacchierare c’erano tre figure di donna, vestite di scuro, con il capo ricoperto da un fazzoletto. Sul principio non si curarono della nostra presenza, né noi di loro, del resto. Mi ero soffermato ad osservare il bacino, e tra le increspature mi accorsi della presenza di alcuni animali che stavano nuotando. Le loro schiene marrone chiaro spuntavano a tratti dall'acqua. Poi improvvisamente presero a saltare fuori, nella mia direzione, per poi rituffarsi. E qui la sorpresa. 
Erano dei cani, probabilmente di proprietà delle donne seduta a riva. Ma la cosa particolare, anzi davvero strana, era il tipo di cane: un bulldog inglese di base, certamente. Ma, attorno al collo la sua pelle si estendeva a formare come una gorgiera, un collare dispiegato, che ricordava quello di un clamidosauro. Nel balzare fuori dall’acqua verso di me il clamide faceva apparire il cane molto più grande della realtà. Superato lo stupore iniziale e visto anche che in fondo i cani stavano giocando allegramente, la mia attenzione tornò sulle figure femminili. Una di loro si girò verso di noi, togliendosi il fazzoletto dal capo e scoprendo così anche il volto. Ci salutò sorridendo, con un fare amichevole e confidenziale. “Non mi riconosci?” disse. Subito anche le altre si voltarono scoprendosi a loro volta. Allora ne riconobbi prima una, poi l’altra ed infine la terza. Erano le madri dei nostri amici, molto invecchiate a dire il vero, che erano venute a portare a passeggio i loro “clamidobulldog”.
“Presto, dobbiamo andare, è tardi” mi disse Steve, “lei ci sta aspettando per mangiare.” 
Appena finito di parlare mi prese sottobraccio e ci incamminammo verso una vecchia casa in pietra. Dentro la casa, ogni stanza era arredata con dei tavoli in legno scuro. Entrammo tutti, dividendoci per stanza. Io girai diverse stanze, fino ad arrivare a quella dove c’era chi ci stava aspettando. Era una signora molto anziana, forse ultracentenaria, piccola e ricurva su se stessa, vestita di nero. I capelli bianchi, legati dietro la nuca, fuoriuscivano dal fazzoletto nero che le ricopriva il capo. 
Non feci nemmeno in tempo a parlare con lei che tutti i presenti presero ad urlare. “Via! Via! Via! Dobbiamo scappare! Ci hanno scoperto! Stanno arrivando!!!”…
Non riuscivo proprio a capire il motivo di tanta agitazione, poi mi resi conto, non senza stupore, che in mano avevo un fucile e come me anche gli altri. Mi precipitai alla finestra e rimasi un attimo basito. 
Lo spazio pianeggiante davanti alla casa si stava riempiendo di uomini in uniforme, militari, poliziotti forse. Le loro divise blu notte oscurarono in un attimo l’Anfiteatro. Nel buio creatosi i bottoni dorati sembravano una pioggia di stelle cadenti. 
Dal canto nostro, ci preparammo ad affrontarli, visto che ormai ci avevano circondato ed era impossibile fuggire. Come gli altri, mi tolsi la giacca e mi sbottonai la camicia. Rimanemmo tutti a torso nudo, ed uscendo fuori la luna illuminò la muscolatura possente che ciascuno di noi sembrava improvvisamente avere… pettorali e addominali scolpiti, bicipiti e tricipiti gonfi.
Poi si trasformò tutto in una sorta di videogame. 
Da una parte le divise blu che scendevano dalle colline circostanti come un unico blocco, dall'altra noi che, ad uno ad uno, fucile in mano a mo’ di bastone, ci schiantavamo contro i militari facendoli saltare in aria. Lì per lì la cosa sembrò funzionare e per un po’ resistemmo. Poi dall'alto dell’Anfiteatro scesero ancora più soldati ed in un attimo fummo sommersi dal blu notte delle uniformi. 

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